Strutturare un ufficio commerciale estero

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Il processo di internazionalizzazione deve essere considerato un vero e proprio investimento, sia economicamente sia per le risorse umane impegnate, che dà ritorni, di solito, solo dopo 2 o 3 anni dalla fase di avvio.

Intraprendere un’attività di esportazione e/o di importazione, senza aver compiuto approfondite verifiche della realtà attuale dell’azienda, e senza aver pianificato le possibili future nuove attività, presenta due tipi di rischi.

Mancanza di consolidati equilibri interni: l’azienda lancia su nuovi mercati, insieme al prodotto, anche inefficienze e disservizi che i nuovi clienti non sono disponibili a tollerare (generalmente il mercato estero non ammette errori e difficilmente concede appelli, data la vasta possibilità di scelta a livello globale).Assenza di pianificazione: la struttura aziendale (anche se solida ed equilibrata) che non ha programmato gli effetti e i sovraccarichi legati alla nuova attività esportativa, rischia di avere ricadute negative anche sulle posizioni faticosamente acquisite nel mercato nazionale.
Qualsiasi politica aziendale di internazionalizzazione deve inoltre poggiare su: una serie di informazioni veritiere sui mercati obiettivo, sia in termini macroeconomici che per quanto attiene alle indagini di settore
adeguate competenze tecnico-operative
l’adozione di una mentalità condivisa all’interno dell’azienda che è quella, per l’appunto, “internazionale”.
Un “nuovo” Ufficio estero

In linea generale le azioni vanno concentrate su pochi mercati (non si può andare ovunque, magari a macchia di leopardo).
Ma come dare all’ufficio estero un nuovo modello di organizzazione e rendere più efficienti le azioni di gestione della documentazione e dell’attività di vendita (o di acquisto)?

1. Il primo passo è la gestione delle informazioni relative ai mercati presenti e futuri. Le informazioni, ricavate dal web, dalle missioni, dalle fiere, dai documenti recuperabili presso organismi, enti ed istituzioni devono essere utilizzate da tutto l’ufficio estero secondo una procedura guida.
Le informazioni prima di tutto devono offrire una fotografia del Paese prescelto, della concorrenza presente, delle normative relative ai prodotti, degli aspetti contrattuali, logistici, valutari e di pagamento ed altro ancora. In questo modo si costruirà un archivio, diviso per Paese, all’interno del quale le informazioni dovranno continuamente essere aggiornate.

2. Il secondo punto riguarda l’archivio clienti che va riorganizzato seguendo il binomio contatto/paese di riferimento in modo da avere sempre a portata di mano tutti i contatti.
Molto spesso le aziende ritengono ardua la ricerca di nominativi di potenziali clienti. Nella pratica un primo tentativo può essere condotto all’interno riqualificando il patrimonio esistente, molto spesso disperso tra files conservati in maniera disordinata.

Un potenziale cliente, un tempo proficuo e oggi inattivo, potrebbe essere rivitalizzato, ad esempio, quando il rapporto di cambio tra l’Euro e la valuta del potenziale contatto è favorevole a quest’ultimo, oppure se nel frattempo l’azienda ha maturato un know how tecnico che le consente di offrire una resa DDU invece di un Franco Fabbrica, o un pagamento “contro documenti” invece di un pagamento anticipato.

3. Una valida riorganizzazione non può infine trascurare la formazione e l’aggiornamento delle risorse umane – il vero capitale aziendale che non subisce svalutazioni. Gli scenari geoeconomici e politici variano con grande velocità e quello che abbiamo letto pochi mesi fa potrebbe già oggi non essere più utile.

Le risorse umane impiegate dovrebbero possedere capacità tecniche e manageriali: tutti gli addetti dell’ufficio estero devono conoscere le norme e le procedure del commercio estero per sapere come muoversi in un ambito internazionale secondo le informazioni precedentemente raccolte, archiviate e utilizzate al momento opportuno.
Un sottile filo di continuità dovrebbe unire tutte queste risorse: una trasversale competenza di marketing internazionale. Chi segue le ricerche di mercato ed individua nuovi potenziali clienti non deve prescindere dalla conoscenza di elementi di contrattualistica piuttosto che di trasporti e pagamenti internazionali.

Ma vediamo, in rapida sintesi, le tre fasi di verifica di un ufficio estero:

Dopo aver scelto i Paesi sui quali concentrare l’interesse, bisogna capire il ruolo del settore merceologico della propria azienda negli scambi internazionali (dove? quando? perché?). Poi si analizza se l’attuale presenza all’estero va mantenuta o modificata (come?) e se i partner attuali (agenti, distributori, importatori, buyer) sono all’altezza della situazione (con chi?).
A livello organizzativo, si verificano gli assetti interni aziendali nelle aree di programmazione, organizzazione e controllo dell’attività export‑import.
Infine vengono prese in considerazione le procedure tecnico‑operative utilizzate per verificare il loro grado di aggiornamento.
Il check – up

È un vero e proprio strumento diagnostico che può assumere diversi gradi di approfondimento, anche in considerazione della dimensione aziendale.
In ogni caso, l’analisi deve accertare che la struttura dell’ufficio estero:

sia capace di rispondere alle diverse esigenze del mercato di riferimento, sapendo che quello che si può fare in un mercato non sempre è replicabile altrove e quindi l’ufficio estero deve trovare nuove strategie
disponga di efficienti tecniche di rilevazione e intelligence nei vari Paesi che garantiscano informazioni attendibili e tempestive all’imprenditore o all’export management possa contare sul supporto di un controllo di gestione specifico per l’export capace di elaborare attente analisi statistiche delle azioni svolte in modo da prevedere azioni di miglioramento, monitoraggio ed implementazione
abbia a disposizione risorse umane che generino idee, documentazione e azioni in grado di dare risposte alle nuove esigenze condivida una buona integrazione con le diverse aree e funzioni aziendali per portare a termine le varianti suggerite.